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mercoledì 26 febbraio 2014

1. LA PRIMAVERA ARABA E L'AUTUNNO ISLAMICO



La Primavera araba ha avuto inizio con i moti di rivolta in Tunisia alla fine del 2010 e in Egitto nei primi mesi del 2011; le turbative, qualificate con   l’omnicomprensiva e sintetica espressione di ‘Primavera araba’, si sono poi propagate con effetto domino in altri Paesi; in particolare, hanno principalmente riguardato sei Stati: la Tunisia, l’Egitto, lo Yemen, il Bahrain, la Siria e la Libia.  Manifestazioni antigovernative si tennero anche a Teheran, mentre in Marocco le  dimostrazioni ebbero un carattere prevalentemente pacifico. Allora cominciarono ad animarsi le prime proteste in Libia, premesse di quella guerra civile che determinerà la fine del regime di Gheddafi. In Arabia Saudita vennero presi provvedimenti restrittivi delle libertà a seguito del tentativo della minoranza sciita di organizzare tumulti. Nel frattempo scoppiò anche in Siria la rivolta che subito assunse un carattere particolarmente drammatico a seguito della dura reazione del governo di Assad; l’esercito rimase fedele al regime e si dimostrò ben presto pronto a sparare sui civili pur di ristabilire l’ordine. Gli accadimenti in Siria vennero attentamente seguiti dall’Iran, che condivide con il regime di Damasco importanti interessi geopolitici.  Queste rivolte all’inizio ebbero un carattere spiccatamente laico: i manifestanti  non scesero in piazza in nome dell´Islam e per il ripristino di un califfato islamico come auspicava la propaganda qaedista, ma furono spinti alle proteste  prevalentemente da situazioni nazionali interne, caratterizzate da ingiustizia sociale, mancanza di democrazia e da un’iniqua intollerabile distribuzione delle ricchezze.   Gli slogan non inneggiarono contro un occidente ‘corrotto’ e ‘corruttore’, come avvenne in precedenti rivoluzioni islamiche, in particolare quella iraniana del 1979 nel corso della quale furono frequenti le proteste anti-americane e anti-israeliane, che accreditarono l’immagine di un mondo musulmano compatto nell’essere contrapposto all’occidente. È significativo che i rivoltosi, durante i moti della Primavera araba, abbiano inneggiato alla libertà. In proposito, il concetto di libertà nella tradizione araba è di recente acquisizione, in quanto storicamente l’aspirazione di questi popoli è sempre stata prevalentemente la sola giustizia.  Infatti, l’organizzazione tribale che è alla base delle società arabe implica l’accettazione, come realtà ineludibile,  di un potere superiore a cui ci si sottopone, ma dal quale si pretende l’esercizio di ogni potestà secondo equità. Inoltre,  gli Stati arabi non hanno elaborato nel tempo una struttura amministrativa decentrata; conseguentemente il potere centrale, per poter governare, doveva garantirsi l’appoggio delle comunità stanziate su specifici territori.  In questo ambito di impronta tribale, gli arabi accettavano che il potere non fosse esercitato democraticamente, ma pretendevano che si amministrasse secondo giustizia. Questa caratteristica era molto evidente nella Libia di Gheddafi.  Il carattere spiccatamente laico della Primavera araba ha anche impedito che si desse credito alla tesi che queste rivolte fossero animate da emissari di Al  Qaeda.  Durante questi eventi, infatti, gruppi terroristici hanno cercato di inserirsi nelle situazioni locali nazionali per riacquistare, senza riuscirvi, un ruolo primario. Al Qaeda sembrò essere sempre più isolata, e con crescente chiarezza cominciò ad evidenziarsi che questo movimento terroristico non costituiva un volto dell´Islam.  In passato i cambiamenti di regime o le rivoluzioni interne si erano avuti a seguito di iniziative di gruppi eversivi, in qualche caso con l’ausilio esterno di altri Stati. Si era così consolidata nei popoli arabi la consapevolezza che essi potessero solo tollerare i propri governi nazionali generalmente ‘autoritari’, mentre soltanto l’attività terroristica poteva offrire prospettive concrete di cambiamento. Così la Primavera araba ha tolto al terrorismo questo ruolo.  Nella creazione di un nuovo Stato sono prioritari la formazione di un’assemblea costituente e l’indizione di libere elezioni. Tuttavia questo assunto, nel suo sviluppo pratico rimase intrappolato in un circolo vizioso; le elezioni non sono il momento iniziale di una democrazia, ma il punto di arrivo, in quanto il loro valido e libero svolgimento richiede un apparato democratico ed una ben formata coscienza civica, che necessita di anni per consolidarsi.  In questi Paesi, mentre i giornali e le televisioni si mantennero espressione di poteri governativi, Internet sfuggì ad ogni controllo e fu uno strumento per la diffusione mediatica delle idee di cambiamento e la concreta organizzazione delle manifestazioni. La Rete fu l’unico strumento in grado di assicurare all’interno e all’esterno dei rispettivi confini nazionali un’adeguata libertà di informazione.   Fu subito evidente la rilevanza dei contatti tenuti dai manifestanti attraverso Internet, intrapresi non solo per fini organizzativi, ma anche come strumento per condividere immagini e filmati, e per far conoscere all’estero le evoluzioni delle situazioni nazionali generalmente segnate dal disperato ma risoluto tentativo dei regimi al potere di reprimere ogni contestazione. Così un attivista sintetizzò lo sfruttamento delle potenzialità della Rete: "Usiamo Facebook per programmare le manifestazioni, Twitter per coordinarci, Youtube per parlare al mondo".  In questo periodo svolse un ruolo politico anche la Lega Araba soprattutto in relazione alla situazione siriana.  La Lega Araba, fin dalla sua costituzione, non ha mai avuto una funzione di particolare rilevanza in quanto, di fronte all’assenza di qualsiasi coesione tra i Paesi arabi, non si è mai sentita legittimata ad esercitare una leadership e soprattutto un ruolo  guida super partes.  In generale, i Paesi nei quali si sono avuti profondi cambiamenti politici a seguito della Primavera araba hanno subito una neoislamizzazione che ha contribuito ad affermare regimi non particolarmente diversi da quelli pregressi. Si può tentare unaspiegazione: i popoli arabi, nel richiedere diritti di libertà, non potevano avere come modello l’instaurazione di ordinamenti ispirati alle democrazie occidentali, da sempre considerate corrotte e lontane da valori spirituali e religiosi.  Il  nuovo Stato, pertanto, non poteva che essere fondato su una piena applicazione dei valori dell’Islam, considerati  gli unici in grado di assicurare uno Stato perfetto, oltre che giusto. Così, la Primavera araba, pur essendosi originata da movimenti laici, è approdata ad esiti fondamentalisti, ad un autunno islamico.
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