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mercoledì 26 febbraio 2014

2. LIBANO E SIRIA, DUE DIVERSI ASPETTI DELL’INSTABILITÀ POLITICA MEDIORIENTALE: 1. LA SIRIA



“La democrazia è un prodotto della cultura occidentale e non può essere applicata per il Medio Oriente, che ha un diverso background culturale, religioso, sociologico e storico”. Questa frase, pronunciata dal leader politico turco Erdogan, pur non sancendo, come lo stesso Primo Ministro turco precisò successivamente, un’inconciliabilità fra la cultura islamica e le forme di governo democratiche, tuttavia sottolinea che le peculiarità delle realtà geopolitiche del vicino oriente non possono essere comprese attraverso un’applicazione dei parametri occidentali. In proposito, la lettura delle vicende attuali dello scenario mediorientale non può prescindere dall’esame della genesi dei singoli Stati e dalle loro successive contingenze storiche. In altri termini, come spesso accade, un contributo utile alla comprensione di situazioni politiche proviene dall’esame di quello che è successo in passato. Al riguardo, l’instabilità che caratterizza questa regione ha sicuramente una prima causa nella ripartizione dei territori fra gli Stati al momento della loro costituzione; la connotazione territoriale di questi Stati fu infatti un’invenzione della politica piuttosto che il risultato di un accorpamento di zone affini per motivi etnici, politici e amministrativi. In particolare, in linea di massima, non vi fu coincidenza fra la configurazione amministrativa dell’impero ottomano in questa regione, e i confini degli Stati mediorientali definiti dagli accordi internazionali.  La Siria fu il risultato di un compromesso politico fra due potenze coloniali, la Francia e il Regno Unito, che procedettero ad una globale distribuzione delle aree del levante arabo che fino a quel momento, il 1914, erano state formalmente componenti dell’impero ottomano. Oggetto di un mandato francese fino al 1945, la Siria raggiunse l’indipendenza nel 1946, nascendo con una configurazione territoriale ridotta rispetto alla dimensione politica e amministrativa pregressa, cioè quella che aveva come regione dell’impero ottomano.  Alcune zone della Siria ottomana oggi sono parte dei territori della Giordania e del Libano, mentre ad oriente furono attribuite al nuovo Stato siriano zone precedentemente sotto l’influenza irachena. Nel ‘46 in Siria si instaurò un regime dittatoriale. Il Paese attraversò per alcuni decenni momenti di instabilità politica; poi nel ‘70 si impadronì del potere Hafiz Al Assad, esponente del partito Bath, di ispirazione socialista. La dittatura di Hafiz Al Assad, pur non essendo particolarmente diversa da quella del suo successore, il figlio Bashar Al Assad, tuttavia godette di un maggiore consenso. Vi fu continuità fra i regimi degli Assad: entrambi erano fondati su un rigido controllo della popolazione, sulla repressione di qualsiasi accenno di moto contrario, e su medesimi criteri nella gestione del potere, amministrato in maniera personalistica. Peraltro, la dinastia Assad, essendo di estrazione alawita (gli Alawiti sono un gruppo religioso del ramo sciita dell’Islam), è espressione di una minoranza poiché la popolazione siriana è in prevalenza sunnita. Il termine alawiti, significa seguaci di Alì, cognato e cugino del profeta Maometto e padre del giovane Hussein, ucciso nella battaglia di Kerbala. Gli Alawiti, che sostengono di essere sciiti duodecimani, vivono in tutte le grandi città della Siria e sono 2 milioni circa (il 20% della popolazione). Dopo le prime manifestazioni nel 2011 il regime di Bashar Al Assad ha intrapreso apertamente la via della repressione, con una conseguente drastica riduzione del consenso popolare soprattutto nelle regioni lontane dalla capitale, non solo geograficamente ma anche politicamente, divenute particolarmente ostili al regime essendo penalizzate da una gestione del potere che privilegiava altre aree del Paese con l’attribuzione di benefici anche attraverso le attività di ONG di fatto influenzate dalle scelte della moglie del dittatore. Nelle attività di repressione anche la tecnologia ha svolto e continua a svolgere un ruolo importante: dopo essere stati promossi, anche con slogan, l’apprendimento e l’uso dell’inglese e di Internet, fu intrapreso un controllo capillare dell’informazione e della Rete. Il mondo occidentale ha difficoltà a conoscere e a raccontare le attuali vicende siriane, non solo per le specifiche attenzioni di cui è destinataria la stampa estera e nazionale, ma per la difficoltà di visitare i versanti in mano ai ribelli, che sono per gli occidentali ad altissimo rischio di rapimenti. La Siria ha una grande importanza strategica per l’Iran. L’Iran, infatti, pur essendo la maggiore potenza islamica, soffre una condizione di isolamento dovuta all’assoluta prevalenza del credo sciita, che è la religione ufficiale.  In Iran gli Sciiti sono il 95% della popolazione, mentre il rimanente 5% è sunnita. Diversamente nel cosmo islamico i Sunniti sono il 90% circa, mentre i seguaci dello Sciismo sono il 10% circa. Gli altri Stati arabi mediorientali, essendo di confessione sunnita, hanno come polo di riferimento politico e religioso l’Arabia Saudita, potenza egemone dell’area insieme all’Egitto. Per questo l’alleanza con la Siria, il cui sovrano Bashar al Assad, come si è detto, è alawita e quindi sciita, per l’Iran ha particolare importanza, in quanto è l’unico modo per il Paese persiano di essere presente e attivo  nello scenario mediorientale. L’Iran sostiene Assad, ma, nella malaugurata ipotesi della sua caduta o ritiro, è pronto ad un’eventuale transizione che gli sia favorevole e che gli consenta di proteggere i propri interessi nell’area, anche contando su una rete di milizie fedeli di stanza in Siria.



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