Da
qualche anno si è assistito ad un aumento della trattazione dei temi religiosi
nelle pagine web in arabo, che, in
particolare, o si limitano a favorire la diffusione della conoscenza
dell’Islam, o contengono note ‘interpretative’.
La maggior parte di questi siti risultano ubicati principalmente nella
parte araba del Golfo Persico, nella quale le disponibilità finanziarie
consentono uno sfruttamento ottimale delle risorse tecnologiche. Generalmente questi siti sono di confessione
sunnita, che, prevalente nell’area del Golfo, si è diffusa ampiamente in Paesi
islamici non arabi come l’Afghanistan e il Pakistan nonché fra i musulmani che
vivono in Europa e nel Nord America. Uno studio ha rilevato che le pagine web di contenuto religioso sono il 65 %
dei siti in lingua araba. Alcuni di
questi siti, pur avendo un contenuto fortemente integralista e sostenendo anche
la necessità dello scontro per motivi religiosi
non solo con i non musulmani ma anche con altri gruppi islamici, sono
riusciti a bypassare indenni i
divieti ed i filtri messi in atto dagli apparati istituzionali. Molti governi,
inoltre, applicando una censura selettiva, che cioè valuta specificamente ogni
singolo caso, considerano manifestazioni di libertà di espressione i siti che, pur essendo estremisti e
fortemente integralisti, hanno un
contenuto ‘gradito’. Questi siti hanno progressivamente adottato un
linguaggio meno aggressivo, più
formalmente corretto, soprattutto dopo l’11 settembre, a cui è seguito un più
incisivo monitoraggio della Rete da parte degli Stati Uniti e dei governi
di alcuni Stati arabi. I gruppi dell’opposizione infatti avevano
presto individuato in Internet, che consentiva di ‘infiltrare’ nei contenuti
del web articoli e notizie che esprimessero
le posizioni critiche della dissidenza, uno strumento di propaganda alternativo
ai più inaccessibili media tradizionali
(giornali e canali radiotelevisivi). La conseguente attività repressiva delle
istituzioni pubbliche ha portato all’adozione di rigide misure restrittive
della libertà personale nei confronti di giornalisti e attivisti per la
democrazia. La repressione non ridusse tuttavia l’opposizione che, non trovando
più spazio nei rispettivi Paesi, ha cominciato ad operare anche dall’esilio,
utilizzando strutture situate all’estero per mobilitare all’interno dei Paesi
gli attivisti della dissidenza e diffondere all’estero la conoscenza delle
pratiche antidemocratiche ed inique dei loro governi. Alcuni siti si avvalgono
di mailing list per diffondere
notizie o informazioni sulle modalità
per aggirare i divieti governativi. I governi raddoppiano i loro sforzi per la
repressione; formalmente dichiarano di combattere la pornografia e gli atti
contrari alla moralità pubblica. Gli omosessuali prima della comparsa di
Internet erano ufficialmente inesistenti nel mondo arabo, in quanto erano di
fatto completamente incapaci di dichiarare la loro esistenza. Internet ha
consentito loro di manifestare la loro esistenza e le loro relative
problematiche in quel contesto religioso e politico. Perfino nella
ultraconservatrice Arabia Saudita gli
omosessuali hanno creato un sito web. Nonostante i divieti questi siti sono
molto popolari e visitati regolarmente, e costituiscono uno strumento per
valutare l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti delle minoranze. Il
software utilizzato da alcuni Paesi per bloccare i siti dell’opposizione si
chiama Web filtering: consiste in un servizio che numerose aziende
informatiche offrono a pagamento a chiunque, comprese istituzioni pubbliche,
volesse inibire l’accesso di utenti a determinati siti memorizzati in una lista
attraverso il loro indirizzo informatico. I primi filtri vennero utilizzati
negli USA nei primi anni ’90 per evitare l’utilizzo improprio dei computer
pubblici, che poteva concretarsi, ad esempio, nell’accesso a siti pornografici.
Oggi questo tipo di servizio viene utilizzato da Paesi come il Bahrein, lo
Yemen, il Qatar, gli Emirati Arabi per bloccare le pagine web che criticano i rispettivi governi e provvedono al raccordo fra
i manifestanti ai fini dell’organizzazione di iniziative di protesta. Anche la
Tunisia e l’Egitto, prima delle rivoluzioni che hanno cacciato Ben Alì e Mubarak,
integravano la lista degli Stati che utilizzavano i filtri antirivolta per
contrastare il dissenso. È paradossale che questi programmi sono per lo più
prodotti da aziende statunitensi, quali
McAfee, Blue Coat Systems, Palo Alto Networks, Websense, Netsweeper Inc.
(Canada). In altri termini provengono
dallo Stato che formalmente è maggiormente impegnato a promuovere la libertà di
parola e di dissentire, e finanzia inoltre massicciamente programmi per la
diffusione di informazioni per aggirare i blocchi: una tipica schizofrenia
occidentale.
(continua)