La
Storia ha spesso dimostrato che tutto quello che avviene in Egitto
successivamente si diffonde nel resto del mondo arabo: effettivamente la
Rivoluzione egiziana di questo ultimo biennio è stata la punta avanzata di una
crisi che sta attraversando tutto il mondo islamico, che ha avuto inizio con la
Primavera araba. La Primavera Egiziana infatti è parte di quella più generale
Primavera i cui moti di rivolta, di carattere inizialmente laico, iniziati in
Tunisia alla fine del 2010, sono proseguiti in Egitto nei primi mesi del 2011,
propagandosi poi con effetto domino in altri Paesi Arabi. La Primavera egiziana
è sembrata giungere inattesa: in realtà non avrebbe dovuto sorprenderci, anche
se un atavico e fisiologico fermento sociale che ha sempre permeato il mondo
arabo, appariva costantemente frenato da un immobilismo politico, prodotto da
una diffusa rassegnazione della gente a subire, come una condizione
inevitabile, grandi discriminazioni sociali e sistemi giudiziari caratterizzati
dall’arbitrio. Tuttavia negli ultimi tempi stava crescendo la sensibilità nei
confronti della necessità di una trasformazione della società in senso
pluralista e democratico. Questo emerse in maniera evidente in questi moti, che
ebbero moventi inizialmente laici, che possono essere sinteticamente riassunti
nel diffuso malessere per una società cristallizzata su posizioni
antidemocratiche e caratterizzata da una inaccettabile diseguaglianza nella
distribuzione delle ricchezze. Pertanto i manifestanti all’inizio non scesero
in strada in nome dell´Islam, ma i loro slogan inneggiavano ai valori
universali della dignità, della giustizia e della libertà. Sono mancate
conseguentemente quelle manifestazioni anti-occidentali (soprattutto
anti-americane e anti-israeliane) emerse in precedenti rivoluzioni islamiche,
che avevano accreditato l’immagine di un mondo musulmano compatto nell’essere
contrapposto all’occidente. E’ difficile ipotizzare il futuro dell’Egitto, il
cui scenario è caratterizzato da componenti contrapposte, e, in particolare,
dai militari, da sempre molto influenti nei momenti cruciali del Paese, dai
Fondamentalisti islamici e dal blocco laico. Nessuno di questi schieramenti ha
avuto la forza per prevalere sugli altri e determinare nel Paese una svolta in
grado di farlo uscire dalla profonda crisi economica e istituzionale. A rendere
più complessa la situazione contribuisce la divisione interna fra gli stessi
islamici: alla fazione salafita, più integralista, si contrappone quella
relativamente più moderata, rappresentata dai Fratelli Musulmani. Archiviato il
regime autocratico e corrotto di Mubarak, che aveva afflitto la popolazione con
povertà, soprusi e disoccupazione, i militari, dopo le dimissioni repentine del
raìs, hanno inizialmente mostrato l’aspetto di un potere garante
delle nuove istanze di democraticità, progresso, libertà e giustizia, che la
classe media emergente reclamava nelle manifestazioni di piazza; poi hanno
intrapreso una politica autoritaria, rivelando il loro vero volto. Le Forze
Armate hanno cominciato a reprimere le proteste sottoponendo inoltre a giudizio
davanti a tribunali migliaia di oppositori: contemporaneamente è sembrato che
le parti laiche, che avevano animato la Rivoluzione, progressivamente uscissero
di scena, cedendo il passo a quelle istanze fondamentaliste che hanno
costituito il presupposto per l’ascesa del presidente Morsi, il quale, dopo
aver dichiarato di voler essere il presidente di tutti gli egiziani, su
probabili pressioni della Fratellanza Musulmana ha conferito al suo governo
un’impronta sempre più fondamentalista. Morsi, primo presidente civile e
islamico dell'Egitto democraticamente eletto, dando una svolta autoritaria al suo
regime con l’auto-attribuzione di poteri che conferivano una particolare forza
alle sue iniziative istituzionali e lo rendevano immune da controlli
giurisdizionali, ha rapidamente cancellato la propria legittimità: eletto
democraticamente, non è riuscito a governare democraticamente. La reazione
della componente laica, risvegliata dalla svolta autoritaria del Regime, ha
contribuito a spingere l’esercito verso la destituzione di Morsi, un vero golpe
se si considera che il Presidente aveva conseguito questa carica a seguito di
libere elezioni. I manifestanti, per evitare di essere delegittimati dal
dilagante clima integralista, hanno ritenuto opportuno precisare nel corso delle
manifestazioni di piazza di essere rivoluzionari e non infedeli. Il Paese
continua ad essere spaccato tra la componente laica e la componente
fondamentalista, mentre l’esercito, sempre ambiguo nelle sue scelte, ha la
forza per imporre dei cambi di rotta che tuttavia sembrano finalizzati
esclusivamente alla protezione dei privilegi della casta militare. L’Unione
Europea in questa crisi ha sempre svolto un ruolo debole, con posizioni
interlocutorie e prudenti, forse preordinate al malcelato fine di non incidere
su equilibri sui quali trovano fondamento gli interessi che singoli Stati hanno
nel Paese. Nel mondo arabo la sponda fondamentalista islamica egiziana trova un
sostegno nella solidarietà dell’Arabia Saudita, mentre il Qatar sembra capofila
di un appoggio esterno alla parte islamica moderata.
(continua con la seconda parte la
prossima settimana)