La Primavera araba ha
avuto inizio con i moti di rivolta in Tunisia alla fine del 2010 e in
Egitto nei primi mesi del 2011; le turbative, qualificate con l’omnicomprensiva e sintetica espressione di ‘Primavera
araba’, si sono poi propagate con effetto domino in altri Paesi; in
particolare, hanno principalmente riguardato sei Stati: la Tunisia, l’Egitto,
lo Yemen, il Bahrain, la Siria e la Libia.
Manifestazioni antigovernative si tennero anche a Teheran, mentre in
Marocco le dimostrazioni ebbero un
carattere prevalentemente pacifico. Allora cominciarono ad animarsi le prime
proteste in Libia, premesse di quella guerra civile che determinerà la fine del
regime di Gheddafi. In Arabia Saudita vennero presi provvedimenti restrittivi
delle libertà a seguito del tentativo della minoranza sciita di organizzare
tumulti. Nel frattempo scoppiò anche in Siria la rivolta che subito assunse un
carattere particolarmente drammatico a seguito della dura reazione del governo
di Assad; l’esercito rimase fedele al regime e si dimostrò ben presto pronto a
sparare sui civili pur di ristabilire l’ordine. Gli accadimenti
in Siria vennero attentamente seguiti dall’Iran, che condivide con il regime di
Damasco importanti interessi geopolitici.
Queste rivolte all’inizio ebbero un carattere spiccatamente laico: i
manifestanti non scesero in piazza in
nome dell´Islam e per il ripristino di un califfato islamico come auspicava la
propaganda qaedista, ma furono spinti alle proteste prevalentemente da situazioni nazionali
interne, caratterizzate da ingiustizia sociale, mancanza di democrazia
e da un’iniqua intollerabile distribuzione delle ricchezze. Gli slogan non inneggiarono contro
un occidente ‘corrotto’ e ‘corruttore’, come avvenne in precedenti rivoluzioni
islamiche, in particolare quella iraniana del 1979 nel corso della quale furono
frequenti le proteste anti-americane e anti-israeliane, che accreditarono
l’immagine di un mondo musulmano compatto nell’essere contrapposto
all’occidente. È significativo che i rivoltosi, durante i moti della Primavera
araba, abbiano inneggiato alla libertà. In proposito, il concetto di libertà
nella tradizione araba è di recente acquisizione, in quanto storicamente
l’aspirazione di questi popoli è sempre stata prevalentemente la sola
giustizia. Infatti,
l’organizzazione tribale che è alla base delle società arabe implica
l’accettazione, come realtà ineludibile,
di un potere superiore a cui ci si sottopone, ma dal quale si pretende
l’esercizio di ogni potestà secondo equità. Inoltre, gli Stati arabi non hanno elaborato nel tempo
una struttura amministrativa decentrata; conseguentemente il potere centrale,
per poter governare, doveva garantirsi l’appoggio delle comunità stanziate su
specifici territori. In questo
ambito di impronta tribale, gli arabi accettavano che il potere non fosse
esercitato democraticamente, ma pretendevano che si amministrasse secondo
giustizia. Questa caratteristica era molto evidente nella Libia di Gheddafi. Il carattere spiccatamente laico della
Primavera araba ha anche impedito che si desse credito alla tesi
che queste rivolte fossero animate da emissari di Al Qaeda.
Durante questi eventi, infatti, gruppi terroristici hanno cercato di
inserirsi nelle situazioni locali nazionali per riacquistare, senza riuscirvi,
un ruolo primario. Al Qaeda sembrò essere sempre più isolata, e con crescente
chiarezza cominciò ad evidenziarsi che questo movimento terroristico non
costituiva un volto dell´Islam. In
passato i cambiamenti di regime o le rivoluzioni interne si erano avuti a
seguito di iniziative di gruppi eversivi, in qualche caso con l’ausilio esterno
di altri Stati. Si era così consolidata nei popoli arabi la consapevolezza che
essi potessero solo tollerare i propri governi nazionali generalmente
‘autoritari’, mentre soltanto l’attività terroristica poteva offrire
prospettive concrete di cambiamento. Così la Primavera araba ha tolto al
terrorismo questo ruolo. Nella creazione
di un nuovo Stato sono prioritari la formazione di un’assemblea costituente e
l’indizione di libere elezioni. Tuttavia questo assunto, nel suo sviluppo
pratico rimase
intrappolato in un circolo vizioso; le elezioni non sono il momento iniziale di
una democrazia, ma il punto di arrivo, in quanto il loro valido e libero
svolgimento richiede un apparato democratico ed una ben formata coscienza
civica, che necessita di anni per consolidarsi. In questi Paesi, mentre i giornali e le
televisioni si mantennero espressione di poteri governativi, Internet sfuggì ad
ogni controllo e fu uno strumento per la diffusione mediatica delle idee di
cambiamento e la concreta organizzazione delle manifestazioni. La Rete fu
l’unico strumento in grado di assicurare all’interno e all’esterno dei
rispettivi confini nazionali un’adeguata libertà di informazione. Fu subito evidente la rilevanza dei
contatti tenuti dai manifestanti attraverso Internet, intrapresi non solo per
fini organizzativi, ma anche come strumento per condividere immagini e filmati,
e per far conoscere all’estero le evoluzioni delle situazioni nazionali
generalmente segnate dal disperato ma risoluto tentativo dei regimi al potere
di reprimere ogni contestazione. Così un attivista sintetizzò lo sfruttamento
delle potenzialità della Rete: "Usiamo Facebook per
programmare le manifestazioni, Twitter per coordinarci, Youtube per parlare al
mondo". In questo periodo
svolse un ruolo politico anche la Lega Araba soprattutto in relazione alla
situazione siriana. La Lega Araba, fin
dalla sua costituzione, non ha mai avuto una funzione di particolare rilevanza
in quanto, di fronte all’assenza di qualsiasi coesione tra i Paesi arabi, non
si è mai sentita legittimata ad esercitare una leadership e soprattutto
un ruolo guida super partes. In generale, i Paesi nei quali si sono avuti
profondi cambiamenti politici a seguito della Primavera araba hanno subito una
neoislamizzazione che ha contribuito ad affermare regimi non particolarmente
diversi da quelli pregressi. Si può tentare unaspiegazione:
i popoli arabi, nel richiedere diritti di libertà, non potevano avere come
modello l’instaurazione di ordinamenti ispirati alle democrazie occidentali, da
sempre considerate corrotte e lontane da valori spirituali e religiosi. Il
nuovo Stato, pertanto, non poteva che essere fondato su una piena
applicazione dei valori dell’Islam, considerati
gli unici in grado di assicurare uno Stato perfetto, oltre che giusto. Così,
la Primavera araba, pur essendosi originata da movimenti laici, è approdata ad
esiti fondamentalisti, ad un autunno islamico.
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